Intervista - Caffè in Rosa | Rischio e felicità, la forza di Dynamo Camp

11/05/2023

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Lo scorso 12 aprile, per il secondo appuntamento dell'anno della nostra rassegna dedicata ai temi D&I abbiamo incontrato Serena Porcari - Chairman di Dynamo Camp. Qui l'intervista integrale

Sono oltre 600 le aziende in Italia che si occupano di devolvere fondi a progetti di inclusione sociale dedicati alle persone affette da autismo e disabilità. Sebbene la consapevolezza relativa alle patologie legate ai Disturbi dello spettro autistico sia in aumento, sussiste ancora una diffusa confusione per quanto riguarda i sintomi e la natura vera e propria dell'autismo, che viene spesso descritto come una "malattia", mentre si tratta invece di un disturbo del neurosviluppo. Soltanto la cooperazione può contribuire all'aumento del livello collettivo di awareness, una cooperazione che partendo dalle piccole azioni del singolo può diffondersi coinvolgendo anche le grandi realtà imprenditoriali, raggiungendo l'obiettivo di dare supporto non solo da un punto di vista psicologico ma anche pratico nel percorso di inserimento sociale e conseguimento dell'uguaglianza.

Fare impresa può avere un impatto non solo sul fatturato di un'azienda, ma anche sulla collettività. Lo dimostra Dynamo Camp, la cui mission è sostenere il diritto alla felicità dei bambini affetti da patologie gravi o croniche. 

Ogni anno in Italia sono, infatti, oltre 10.000 i bambini affetti da patologie gravi o croniche, che rischiano di perdere la serenità̀ della fanciullezza con conseguenze sull’intero nucleo famigliare. Dynamo Camp Onlus offre a bambini e adolescenti malati e alle loro famiglie attività gratuite di Terapia Ricreativa, volte a rafforzare in loro la fiducia in sé stessi e nelle proprie capacità con benefici di lungo periodo. Ne abbiamo parlato con Serena Porcari, Chairman di Dynamo Camp, in occasione dell’appuntamento con la rassegna Caffè in Rosa dello scorso 12 aprile a Torre Allianz.


Serena, ci racconti da dove è nata l’idea di Dynamo Camp?

Dynamo vede la luce da un’idea di Paul Newman, che nel 1988 in Connecticut fonda il primo camp dell’associazione no profit SeriousFun Children’s Network, di cui Fondazione Dynamo fa parte. Nel 2007 Dynamo ha aperto il primo camp in Italia, con l’idea di portare nel nostro paese un progetto che sia un luogo di vacanza per tutti quei bambini che hanno patologie gravi e croniche. Noi, a Dynamo Camp, non curiamo nessuno ma regaliamo una vacanza senza guardare al reddito dei nostri ospiti, molti dei quali non hanno mai avuto la possibilità di fare una vacanza prima. Nel 2008 abbiamo iniziato ad ospitare famiglie con problemi gravi di disabilità e siamo diventati un camp annuale, nel 2009 abbiamo inaugurato le sessioni dedicati a fratelli e sorelle dei nostri ospiti. Noi ospitiamo bambini e ragazzi dai 6 ai 17 anni e il nostro successo è vedere che, quando i ragazzi superano i 17 anni, tornano e seguono la nostra academy per diventare parte dello staff Dynamo. La nostra attività non è solo una vacanza, è un cambiamento del punto di vista. 


L’esperienza a Dynamo Camp si basa sulla terapia ricreativa: in cosa consiste?

Dynamo Camp segue il format del summer camp americano, che negli USA è un’istituzione culturale: i bambini vengono ospitato per due mesi, senza genitori, in un posto dove si fanno attività all’aria aperta come arrampicata, tiro con l’arco, andare a cavallo ecc e ci si dedica anche alle performing arts. In una sessione estiva arrivano 100 bambini, ognuno dei quali con una patologia diversa. Il concetto alla base, per far sì che l’esperienza sia un successo, è che ciascuno di loro deve e può andare alla propria velocità, seguire tutte le attività con i propri ritmi. Il Camp è un’esperienza molto divertente, perché il divertimento stesso è al centro.


Come si sviluppa una settimana tipo?

Per i bambini l’esperienza Dynamo restituisce loro il diritto alla normalità… ma lo fa anche per i genitori. La sfida è superare la separazione iniziale: un
collega diceva che a Dynamo Camp si piange due volte, una quando si arriva e una quando si riparte perché da noi non si parla con mamma e papà, non si usa il cellulare e il genitore non può parlare col figlio. È lo staff a contattare i genitori una volta al giorno per tenerli aggiornati. 

Le attività poi si distinguono per fascia d’età ma seguono questa impostazione: la mattina ci dedichiamo ad attività outdoor mentre nel pomeriggio ad attività artistiche e ricreative. Poi la sera c’è il momento comune della cena dove si balla e segue l’attività serale a cura del gruppo che si occupa dell’intrattenimento.

I nostri ragazzi adolescenti scelgono inoltre di specializzarsi in un’attività specifica: c’è chi segue Radio Dynamo, chi segue i laboratori d’arte a cura di artisti che vengono in visita, chi realizza musical ecc. Ognuno dei nostri ospiti può scegliere l’attività da seguire in base alle proprie passioni. Per gli adolescenti, infine, alla sera organizziamo anche delle piccole feste. 


Oltre al personale medico, Dynamo agisce grazie a una rete di  volontari: come si diventa volontari Dynamo e in cosa consiste la loro attività?

Chiunque può esserlo dai 18 anni in su. Non c’è un limite massimo né di attività da seguire perché se non te la senti di dormire con i ragazzi puoi fare anche il volontario tecnico ovvero chi aiuta in cucina, per le merende, guida i pulmini. Dei nostri volontari, il 30% proviene dalle aziende. Abbiamo infatti sviluppato programmi con le imprese: ognuna di esse decide di mandare in sessione un certo numero di volontari per far sì che i dipendenti possano partecipare a seconda delle esigenze del camp. Il volontario, escluso quello tecnico, vive col bambino, con l’adolescente o è di supporto alla loro famiglia: il rapporto volontario/ bambino è 1 a 1. 

Ogni volontario affronta un lungo percorso di selezione e un weekend di formazione in loco, al termine del quale a volte decide di andarsene. Il volontario non è a conoscenza della patologia che affligge il bambino o il ragazzino che gli è stato affidato, conosce soltanto i suoi bisogni, come le pietanze che può mangiare e quali necessità abbia.


Come trovate le risorse per continuare a sostenere l’iniziativa?

Dynamo Camp, come dicevo, nasce da un modello filantropico americano. All’avvio in Italia abbiamo avuto l’occasione di occuparci di questo sito importante, ristrutturato da parte di un’impresa. Da lì abbiamo iniziato con la raccolta fondi per coprire i costi operativi. Nei primi tre anni di attività abbiamo fatto molti errori, cercando di capire di cosa avessimo davvero bisogno: abbiamo sbagliato i letti, i pavimenti, anche le persone. Al quarto anno siamo riusciti a sistemare il tutto e abbiamo avviato una raccolta fondi industriale, ormai consapevoli di che tipo di fondi necessitassimo e dove andare a raccoglierli.


Per far sì che tutto ciò vada avanti vi impegnate tutti gli anni con delle campagne di foundraising e collaborazioni importanti e soprattutto con una comunicazione gioiosa e mai pietistica. Una tra le più note è quella con Radio DeeJay e so che avete qualcosa in programma tra un mesetto circa. Di cosa si tratta?

È stata un’idea di Linus, che ci è stato presentato dalla nostra vicepresidente. Ogni anno, con Radio Deejay, facciamo un’asta ma quest’anno abbiamo optato per girare una puntata di Deejay chiama Italia in teatro, in programma il 24 maggio al teatro Arcimboldi. Avanzano ancora 300 biglietti, siamo quasi a 2000 biglietti venduti. Quello che sarà sul palco sarà un po’ una sorpresa. 


Dynamo si pone come obiettivo di restituire a tutti il diritto alla felicità. Come definiresti la felicità per i bambini e i ragazzi a cui si rivolge Dynamo?

La vera fortuna dopo tutti questi anni è di vederli crescere: alcuni dei nostri
ragazzi diventano nostri colleghi e vedendoli in azione capisci che quello scatto del camp permette loro di vedere la vita in modo diverso. In Italia esiste una cultura della patologia che è la più varia: una volta che ci si
scopre affetti da una particolare patologia ci si chiede cosa si sia fatto di male per meritarselo o si decide di non uscire più di casa per non farsi vedere: l’esperienza a Dynamo Camp si trasforma in uno scatto sia per i bambini che per i genitori, perché decidono che possono fare tutto.


Come sai, la nostra Associazione si occupa di gestione del rischio e come ogni realtà anche Dynamo avrà dovuto fare i conti con rischi a breve e lungo termine. Qual è il rapporto rischio opportunità per la fondazione?

Credo sia la crescita: quando cresci velocemente (siamo partiti con uno staff di 3-4 persone ma ora siamo 200) la parte importante è il personale, su cui devi investire perché non è che se lavori nel no profit devi avere il lavoro peggiore della terra. Sì, direi che è crescere il principale elemento di rischio e opportunità per noi, che posso riassumere in tre progetti a cui stiamo lavorando:

1. Diffondere la visione Dynamo nel sistema caring di questo Paese affinché cambi lo stile di cura attraverso un lavoro in collaborazione con le pubbliche amministrazioni,

2. L’acquisizione di realtà già esistenti ma che non sono in grado di crescere con le proprie forze,

3. La realizzazione di un city camp.


Passiamo ora alle domande dal pubblico. Uno degli aspetti che hanno colpito maggiormente la nostra platea è: perché separare il bambino dalla famiglia?

Considerate che il momento in cui il bambino arriva al Camp e si separa dalla famiglia, rappresenta per lui un piccolo trauma. Sentire i genitori al telefono o avere un contatto con loro lo porta a tornare un po’ indietro sui propri passi: se c’è una crisi grave ovviamente il bambino torna a casa.  L’unico momento genitori-figli è quando il bambino deve recarsi al centro medico, dove si presenta anche il genitore: la fatica è poi salutarsi dopo quel momento. 


Ricevete un supporto dal sistema sanitario nazionale?

Per ora no, anche perché in Francia, dove in un primo momento lo Stato aveva finanziato la struttura, il Camp ha dovuto chiudere perché al suo arrivo al governo Sarkozy ha deciso di ritirare il supporto economico. Una decisione che si è rivelata, ovviamente drammatica e che ha richiesto quattro anni al Camp francese per rimettersi in piedi e ripartire: ancora oggi sono privi di un luogo fisso. In Italia, la tariffa pubblica non è in grado di coprire al 100% il servizio offerto: la stiamo considerando ma i rischi sono tanti. L’ideale sarebbe creare la figura del terapista ricreativo. 


Fra i vostri volontari figura anche personale sanitario?

Sì, ma ricevono uno stipendio perché non ne trovavamo abbastanza. Gli ospedali universitari non hanno intenzione di avviare partnership con Dynamo, l’università non si assume il rischio di avere qualcuno dei suoi allievi di medicina in azione in un posto come il nostro. Siamo noi, quindi, a coprirel’assicurazione. La facoltà di Infermeria, al contrario, garantisce ai  suoi studenti crediti formativi in caso svolgano attività al camp.


Per partecipare allo spettacolo in programma mercoledì 24 maggio 2023 al Teatro degli Arcimboldi, prenotare il proprio biglietto qui:

 A teatro con Deejay Chiama Italia per Dynamo Camp